Mission: Impossible – The Final Reckoning, la recensione del capitolo finale

Con Mission: Impossible – Final Reckoning, Christopher McQuarrie chiude la saga action con l’infaticabile Tom Cruise nel modo più ambizioso e fragoroso possibile, tra adrenalina e apocalisse digitale.
Dopo quasi trent’anni, arrivano i titoli di coda…
Ipertrofico e mortifero come mai era accaduto fino ad allora, Mission: Impossible – Final Reckoning è il capitolo della saga che in assoluto fa dell’eccesso (di parole, scene madri e collegamenti coi precedenti film) il suo marchio di fabbrica. Un incontrollato ottovolante di azione, emotività e worldbuilding, in cui il protagonista Ethan Hunt muta in figura messianica di un’umanità che arranca per sopravvivere a forze troppo grandi da controllare.
The Final Reckoning riprende da dove il precedente Dead Reckoning (2023) si era interrotto. Hunt (Tom Cruise) e la sua squadra dell’IMF si trovano ancora alle prese con l’Entità, un’intelligenza artificiale fuori controllo che minaccia l’olocausto nucleare. La trama si sviluppa attorno al recupero del codice sorgente dell’IA, nascosto in un sottomarino russo affondato, culminando in uno spettacolare inseguimento aereo dove il protagonismo funambolico di Cruise vive di luce propria.
Grande spettacolo intrecciato al presente
The Final Reckoning abbraccia un tono apocalittico e paranoide, innestato nella struttura classica da spy story costruita attorno a continui set piece, inseguimenti al cardiopalma e scambi d’identità. Qui l’Entità assume il doppio ruolo di antagonista immateriale e metafora di tutte le contemporanee paure digitali. Disinformazione, manipolazione di dati tramite il digitale e sfiducia nelle istituzioni giocano un ruolo di primo piano in un racconto fitto, sul solco di quei thriller paranoici da Guerra fredda, qui svecchiati e aggiornati alle nuove istanze. Scrivendo la sceneggiatura insieme a Erik Jendresen, McQuarrie intreccia il corpus tematico a studiati riferimenti ai capitoli precedenti, in un’operazione di raccordo che combina sguardo nostalgico, inquietudine verso un futuro incerto e un’inguaribile nota di speranza umanista.
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La tecnica registica di McQuarrie, tesa e nervosa, tiene in pugno il ritmo – pur con qualche fisiologico momento di stanca nella parte centrale – ed è aiutata da un montaggio furioso di Eddie Hamilton che sa imprimere all’azione le dovute, brutali accelerazioni, coerente con il senso d’urgenza.
Tom Cruise, ovvero l’anima di Mission: Impossible – The Final Reckoning
The Final Reckoning, ovviamente, appartiene al divo Tom Cruise, la cui performance fisica e determinata suggella un atto d’amore per il cinema d’azione classico. La mimesi tra Cruise e Ethan Hunt è totalizzante e qui ammantata di un alone sacrale: ogni scena ruota intorno al suo corpo attoriale e al mito a esso legato. Eppure, nel bel mezzo di tale protagonismo, il film trova spazio per la coralità, a valorizzare i membri del team. La tanto contestata Hayley Atwell, introdotta nel film precedente, conferma in realtà la freschezza che il cast di veterani necessitava, con un personaggio ambiguo e al contempo di gran dolcezza. Mission: Impossible – Final Reckoning è un film che senza dubbio pecca di accumulazione – a volte l’autoreferenzialità è pue troppo smaccata – ma dotato di gran cuore. E ciò può solo fare bene all’anima e al cinema.

Libraio, consumatore seriale di lungometraggi con una passione famelica per tutto ciò che arriva dall’Estremo Oriente, feticista dei libri editi da Taschen. Ogni tanto scrivo cortometraggi.
Il degno finale di una grande saga dopo trent’anni