
Girl (Nǚhái) segna il debutto alla regia dell’attrice taiwanese Shu Qi con una riflessione intima sulla violenza domestica e la condizione femminile nel contesto della Taiwan negli anni Ottanta.
La trama

Taipei, 1988. Hsiao-lee (Bai Xiao-Ying) è una adolescente introversa che vive con il padre alcolizzato e una madre incapace di ribellarsi. L’incontro con Li-li (9m88), coetanea disillusa e smaliziata, apre una finestra su un possibile riscatto e un’accresciuta riscopertriscoperta di sé.
Un esordio decisamente intimista e sentito

Era il 2001 quando Shu Qi, musa di Hou Hsiao-hsien, faceva ondeggiare i suoi lunghi capelli neri tra i neon di Taipei, nella scena d’apertura di Millennium Mambo. Oltre vent’anni dopo, la ritroviamo alla 82ª Mostra del Cinema di Venezia con il suo esordio alla regia, Girl (Nǚhái), coronamento di una carriera trentennale che l’ha vista esordiente nel cinema erotico hongkonghese, protagonista di capolavori autoriali (Millennium Mambo per l’appunto, The Assassin) e guest star di lusso in bizzarre parentesi hollywoodiane (The Transporter). Il sentimento più rappresentativo dello stato d’animo dello spettatore, quando le due ore di proiezione sono trascorse e le luci della sala si riaccendono, è quello di aver assistito a un film sicuramente imperfetto ma alquanto interessante. Specie per tutti coloro che erano accorsi al Lido nelle vesti sincere di fan della diva taiwanese.
Il cinema come memoria e rielaborazione

Al netto di un primo terzo che carbura a fuoco lento e di un soggetto da classico slice of life affini, il tocco autobiografico garantisce al film un’identità distinta. Shu Qi non ha mai nascosto di aver vissuto un’infanzia segnata da difficoltà economiche e famiglia disfunzionale: diventa facile, quindi, vedere nella stesura della sceneggiatura (le cui prime bozze risalgono addirittura al 2011) un tentativo di rielaborazione metacinematografica dei propri traumi. L’influenza di Hou Hsiao-hsien si intravede nello sguardo attento alla quotidianità, nelle atmosfere sospese, nell’occhio di riguardo per le trasformazioni sociali, urbane e culturali (le canzoni pop, i videogiochi, la presenza sempre più ingombrante dell’occidentalismo) nel contesto del boom economico di Taiwan.
Attraverso i colori cupi della fotografia di Yu Jing-pin, le fatiscenti scenografie domestiche di Huang Mei-ching trasformate quasi in non-luoghi e le dilatazioni frammentate dei tempi filmici del montaggio curato da William Chang, la regista costruisce un coming of age che racconta il desiderio di fuga da un nucleo familiare attraverso cui sembra non passare mai la luce, mentre mette a paragone due generazioni di donne taiwanesi, confinate in ruoli di silenzio. L’altro aspetto riuscito del film è senza dubbio la direzione del cast femminile. Bai Xiao-Ying regala alla protagonista Hsiao-lee il volto di una resistente fragilità, mentre la cantante e attrice 9m88, nei panni di Li-li, ne incarna il controcampo luminoso, di contagiosa vitalità. Al ritratto sentito della madre succube offerto da Lai Yu-Fei fa da contraltare, invece, una più appannata e stereotipata figura del padre-padrone (Roy Chiu).
Con Girl, Shu Qi conferma la sua statura di donna di cinema a tutto tondo, in grado di trasfigurare la memoria personale in un racconto di formazione universale. Una voce da ascoltare e seguire.

Libraio, consumatore seriale di lungometraggi con una passione famelica per tutto ciò che arriva dall’Estremo Oriente, feticista dei libri editi da Taschen. Ogni tanto scrivo cortometraggi.
