Fear Street: Prom Queen, la recensione del quarto film della serie

Quarto lungometraggio dell’omonima serie di romanzi di R.L. Stine adattati a partire dal 2021, Fear Street: Promo Queen è da poco entrato nel catalogo Netflix. Un horror che non si discosta dagli archetipi del cinema slasher, tuttavia risultando, per certi versi, più godibile rispetto al secondo e terzo capitolo non del tutto apprezzati dagli spettatori italiani.
La trama
Shadyside, 1988. Lori Granger (India Fowler), ragazza perlopiù bullizzata dalle compagne che fanno parte del “Branco” capeggiato da Tiffany Falconer (Fina Strazza), decide di partecipare al ballo di fine anno, tentando di vincere il titolo di regina del ballo. Nonostante le avversità, soprattutto dovute alla diceria che vuole sua madre come omicida del marito e padre di Lori, quest’ultima è fermamente convinta a mettersi in gioco e, in ciò, si fa aiutare dalla sua migliore amica Megan (Suzanna Son), la quale ricopre il ruolo di partner di ballo. La sera prima dell’evento Christy Renault (Ariana Greenblatt), una tra le più quotate per il titolo di regina nonché spacciatrice locale di stupefacenti, viene brutalmente uccisa da un aggressore mascherato, lo stesso che, la sera del ballo, si intrufola nella scuola iniziando a mietere vittime.
Un teen horror/slasher che non aggiunge niente di nuovo…
Se si esclude il primo capitolo del franchise, ossia quel Fear Street Parte 1: 1994 citazionista e ben confezionato e di cui non si può dire lo stesso dei sequel/prequel successivi, Fear Street Parte 2: 1978 e Fear Street Parte 3: 1666, la serie di romanzi scritti da R.L. Stine (che in Italia ha avuto il suo apice tra fine anni Novanta e inizio Duemila con la serie di Piccoli brividi), sembrava essere già arrivata al capolinea almeno per quanto concerne i gusti del pubblico nostrano ma, con l’arrivo di Fear Street: Prom Queen, il tentativo di giocare un’ultima carta è valsa la pena.
Senza troppi giri di parole o inutili orpelli stilistici, bisogna ammettere che ci si trova dinanzi a un teen horror/slasher che non aggiunge niente di nuovo al panorama cinematografico di riferimento, poiché al suo interno si muovono archetipi (il gruppo di studenti suddivisi tra vincenti e losers è un classico, così come il ricorso all’icona della final girl) a cui cotanta filmografia di genere ha abituato intere generazioni di spettatori. Eppure, il passaggio di testimone alla regia da Leigh Janiak a Matt Palmer si nota.
In primis perché sì, non vi è tutta questa originalità messa in scena, eppure Fear Street: Prom Queen (ri)cerca una propria individualità, un’identità che non lo faccia finire, a tutti i costi, nel calderone del già visto, del citazionismo estenuante e delle copie fatte (male) con la carta carbone. E ciò che balza all’occhio, ancor prima che la mattanza e lo scorrimento di emoglobina inizino, è la volontà registica di dare una certa qualità visiva al prodotto finale, come l’aver ricreato la grana e la rumorosità della pellicola (trend che negli ultimi anni ha trovato ampio utilizzo) e, di pari passo, utilizzato musiche elettroniche che “permettono” di tornare indietro nel tempo, più precisamente a quegli anni Ottanta durante i quali, l’horror, ha regalato veri e propri capolavori che hanno traghettato il genere verso gli anni Novanta.
…Ma riesce a essere godibile nella sua semplicità
Infatti, nonostante saccheggi a man bassa da tantissimo immaginario collettivo orrorifico, Fear Street: Prom Queen riesce a essere godibile e, per certi versi, anche a divertire. Sprovvisto dell’economia del jump scare, questo quarto capitolo della serie va dritto al sodo, alimentando un’atmosfera di diffidenza e sospetto nel mezzo di un evento spensierato quale dovrebbe essere un ballo di fine anno.
E in questa, di certo, non mancano le esplosioni di violenza che non lesinano di dettagli truculenti come mutilazioni, sventramenti e chi più ne ha più ne metta, mentre il bodycount aumenta e le analogie con la saga di Scream (senza addentrarsi eccessivamente in zona spoiler) e altri titoli vengono da sé, quasi in maniera fisiologica. Dunque, per quanto concerne il comparto gore, gli estimatori non resteranno delusi anzi, troveranno il punto di forza nel make-up e negli effetti decisamente artigianali, carpenteriani si potrebbe dire, che sembrano voler riportare in auge un comparto visivo da horror old school.
A maggior ragione questo Fear Street: Prom Queen, che fa da raccordo con i tre predecessori (citando gli eventi della Parte 2: 1978 tanto nei dialoghi quanto attraverso un breve flashback che ne fanno un sequel di quest’ultimo, di Parte 3: 1966 e un prequel di Parte 1: 1994), è un passo in avanti dopo un avvio di saga piacevole ma, purtroppo, impantanatasi dopo secondo e terzo film alquanto mediocri.
In sostanza, una buona ripartenza
Alla luce dei pro e dei contro che emergono durante e post visione, placidamente si può affermare che Fear Street: Prom Queen è un buon punto di (ri)partenza per il franchise di casa Netflix. Lungi dall’essere un ottimo film poiché non scevro da difetti, il lavoro svolto da Matt Palmer è meritevole di una visione, giacché dimostra di essere un horror che non vuole “impegnare” bensì divertire lo spettatore.
E molto probabilmente la serie di Fear Street continuerà a farlo, se si considera la scena post credit che conferma, in maniera diretta, come il male non abbia ancora abbandonato (e forse non lo farà) la cittadina di Shadyside.

Divoratore accanito di film, serie TV, libri e manga, ama gli anime (su tutti, Neon Genesis Evangelion) e i videogame, senza dimenticare la sua passione per la montagna. Autore di diversi saggi monografici, è un consulente editoriale con esperienza decennale, fotografo freelance e redattore per differenti siti web.