1485KHz (Se otto ore), la recensione del cortometraggio horror di Michele Pastrello

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1485KHz (Se otto ore) segna il ritorno del regista Michele Pastrello all’horror, con un cortometraggio che combina citazionismo, suggestione estetica e denuncia sociale. Disponibile in VOD dall’1 maggio 2025 su Reveel.

Specializzato in cortometraggi di grande atmosfera, Michele Pastrello è il tipo di regista indipendente che merita attenzione e supporto. I suoi lavori, che spremono fino all’ultima goccia tutto il potenziale dei territori tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, sono stati insiti di numerosi riconoscimenti, tra cui i premi della giuria al PHFFest e al ToHorror, e mirano a restituire all’horror il valore sociale rintracciabile nella miglior tradizione del cinema di genere, da Bava a Fulci.

Il nuovo lavoro di Pastrello, 1485KHz (Se otto ore), imbastisce un cupo e pessimista parallelismo tra le lotte proletarie d’inizio Novecento e lo sfruttamento dei lavoratori nell’epoca digitale, con i richiami agli studi di F. Jürgenson sulla metafonia – la presunta captazione delle voci dei morti tramite l’elettronica – a tessere il fil rouge tematico. L’azione si svolge in Friuli Venezia Giulia e la protagonista è una addetta alle pulizie (Lorena Trevisan). La minaccia di licenziamento costringe la donna ad accettare un incarico dai risvolti misteriosi: viene inviata a ripulire una casa in rovina tra le montagne, appartenuta a proprietari di risaie, nella quale si era precedentemente recata una collega scomparsa senza lasciare traccia. Isolata dal resto del mondo, la protagonista si aggira tra i locali bui e polverosi dell’abitazione, imbattendosi in un saggio sulla metafonia. Il ritrovamento del volume spalancherà ovviamente le porte al soprannaturale.

Incubi sociali, squarci visionari

Con 1485KHz (Se otto ore), Pastrello confeziona una ghost story nuda e pura, caratterizzata da tutti i tópoi collaudati del filone, qui trasportati con devozione e fame postmoderna in un contesto puramente italiano. Il risultato ottenuto da regista e troupe manifesta mirabile fattura e coltissimo gusto cinefilo. Le atmosfere tetre e la tensione emotiva insita nell’indagine della protagonista ricordano quelle di Sette notte in nero di Lucio Fulci, i riflessi allo specchio sono inequivocabili rimandi a Profondo rosso di Dario Argento, l’idea di metafonia fa pensare ovviamente a Black Cat (Gatto nero) sempre di Fulci.

Non manca l’omaggio all’Oriente nel legame tra soprannaturale e tecnologia (Ringu di Hideo Nakata) e alle avvolgenti panoramiche prometeiche di Ridley Scott nelle aperture di raccordo di più ampio respiro. Si respira pure una logica “shininghiana” nel modo in cui l’ambiente assorbe gli orrori del passato, riproponendoli ciclicamente nella forma di apparizioni spaventose – ed è nel finale che Pastrello si concede il più accorato degli omaggi kubrickiani – a dimostrazione che, in fin dei conti, gli ingredienti dell’horror sono oramai rodati. Ciò che cambia è l’efficacia con cui gli stessi vengono organizzati all’interno della storia. Quello che conta è la denuncia della reiterazione del padronato attraverso i secoli.

Il campionario di primi piani umanizzanti sul volto di Lorena Trevisan, inquadrature sui claustrofobici corridoi e porte socchiuse che rivelano le presenze ectoplasmatiche si fanno forte di un’efficace fotografia. La matrice cromatica gioca con diaboliche auree di blu avvolgenti e rossi elettrici, tant’è che sin dal viaggio in macchina iniziale tra paesaggi naturali desolati, appare evidente quanto 1485KHz sia per prima cosa un lavoro in cui il contenuto politico va di pari passo con l’estetica pura, elevandosi a esperienza sensoriale. La percezione del pericolo accompagna protagonista e spettatore di scena in scena, in un crescendo di instabilità emotiva e orrore che abbandona la ratio. Con un uso sapiente del dialetto friulano che si mixa a un graffiante sound design, il prodotto finito è davvero notevole.

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